È sempre difficile credere nel ritorno effettivo di IP sopite ormai da anni, ma se c’è una software house che in tempi recenti si è distinta per la chiara volontà di recuperare i suoi marchi storici più amati, quella è certamente SEGA. Se in tempi recenti si è tornati a parlare di Sakura Wars, Alex Kidd, Streets of Rage e Wonder Boy (o Monster World) è proprio perché la casa di Sonic si è evidentemente accorta di avere tra le mani alcuni dei marchi più amati e conosciuti degli anni ‘90. Alcuni di questi videogiochi sono stati prodotti da team esterni, come ad esempio Panzer Dragoon e i suoi remake affidati agli sviluppatori polacchi di MegaPixel Studio (segnatevi il nome, perché tornerà spesso in futuro); altri sono invece rimasti sotto l’ala di team interni, per garantire agli appassionati un sapore autentico che certamente sviluppatori terzi non sarebbero stati in grado di offrire. Forse l’unica eccezione alla regola rimane il tanto dibattuto ritorno di Shenmue 3 in seno a Ys Net, software house sicuramente esterna a SEGA, ma fondata e diretta da Yu Suzuki, creatore della serie.
E sempre in tema Suzuki, fa sorridere che il grande ritorno di Virtua Fighter, con Virtua Fighter 5 Ultimate Showdown, sembri un’operazione non poi così differente dal tanto criticato terzo episodio di Shenmue: una rivalutazione di idee e concept vecchi quasi 15 anni, rimescolati e rivenduti al pubblico senza minimamente offrire, in proporzione, i grandi valori di produzione di un tempo. E se per Shenmue 3 l’operazione può essere tutto sommato gradita, date le sue urgenze focalizzate all’aspetto narrativo dell’esperienza, il seminale picchiaduro di SEGA si affaccia in un contesto dominato da una concorrenza ben diversa da quella del 2007, all’epoca di PlayStation e Xbox 360.
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