Trentacinque anni sul groppone di Dragon Quest sono cosa da poco, e di questo Square Enix sembrerebbe essere ben conscia. Una considerazione tutto sommato banale, ma che va inquadrata nella religiosa tradizione della serie, i cui capitoli principali, ovvero quelli numerati, si distinguono da sempre per la loro fedele applicazione di una formula che è rimasta invariata per più di ben tre decadi.
Benché la leggendaria saga sia ormai un consolidato marchio di JRPG anche in Occidente, la nostra memoria storica non può nemmeno avvicinarsi alla percezione che ha il pubblico giapponese di questo amatissimo franchise nato a metà degli anni ‘80 su Famicom, l’equivalente nipponico del nostro fedele NES. Un’identità tradottasi negli anni seguenti in un universo in continua espansione composto da numerosi spin-off per ogni piattaforma di gioco esistente, adattamenti a fumetti, romanzi, serie animate, live-action e film in Cgi, e tante riedizioni dei capitoli più amati, celebrati dalla cultura pop della terra del Sol Levante come vero e proprio fenomeno culturale tutto giapponese.
Non c’è quindi da stupirsi se l’evento in streaming tenutosi lo scorso 26 maggio non sia stato accolto dalla comunità generale dei giocatori occidentali con lo stesso interesse che, invece, avrebbe raggiunto un ben più familiare “Final Fantasy direct”: tutto sommato è nota a tutti la disparità in termini di popolarità delle due serie guardando alle fanbase di giocatori nord americane ed europee. Proprio per questo le novità annunciate durante l’evento di Square Enix, che ricordo essere il primo reso accessibile anche al pubblico occidentale mediante una traduzione in diretta in lingua inglese, toccano solamente in parte il futuro del franchise sul mercato nostrano.
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